lunedì 14 agosto 2017

L’ interpretazione soggettiva della realtà #sapere per #fareimpresa

Nella mia attività lavorativa ha ho seguito per decenni la selezione del personale prima dell’area di cui ero responsabile e poi di due società che ero socio.
Un mio conoscente si è accorto di una stranezza che gli è capitata dopo un unico colloquio in una ADV internazionale e ne ha parlato con me.

Dopo quell’unico colloquio con una unica persona, sistematicamente quando risponde a una inserzione di lavoro su vari motori di ricerca e in particolare su Infojobs ( che ne tiene traccia) riconducibili a “quella” ADL, la sua candidatura indipendentemente dalla filiale e cui viene presentata, viene scarta a priori.

Il dubbio che sul database generale della ADL sia segnato il suo profilo come non idoneo a prescindere c’è ( e si sa da anni, in caso di persone che abbiano già lavorato o avuto rapporti con la ADL e risultano  ritardataria, non affidabile, rognosi in maniera oggettiva ci sta), la certezza della soggettività ( soggettività nel lavoro può essere associata anche a incapacità) della persona che ha segnalato il suo profilo non idoneo è palese.

Trovo da principiante che dopo un colloqui fatto con un recruter la ADL permetta di  bollare come non idoneo un candidato, io quando facevo questo lavoro mi sono sempre confrontato con i miei colleghi perché ciò che penso, vedo, sento, percepisco io non è la stessa cosa che intuiscono altri.
La valutazione è sempre soggettiva dettata da una linea di pensiero o di insegnamento (anche i test visto che sono realizzati da persone) ed è propria del soggetto, del suo modo di pensare.

L’ interpretazione soggettiva della realtà; impressione, valutazione, giudizio soggettivo su una persona, una cosa, non possono essere la basse discriminante delle capacità di una persona.


Almeno confrontiamoci.


mercoledì 9 agosto 2017

Escapologia fiscale i nuovi Houdini ora si trovano sul web #sapere per #fareimpresa

 



Aprire una società all’estero: un errore comune

Il più grosso e stupido errore che fanno alcuni italiani quando decidono di aprire una società all’estero è quello di mettersi in prima persona diventando soci oppure amministratori della struttura estera.
Una società intestata ed amministrata da persone italiane per la legge non è più una società estera al 100%, anche se ha realmente la sede all’estero!
Poco importa che la tua sia davvero una società con tanto di uffici e personale dipendente perché per il fisco questa rimane sempre una società che appartiene, a tutti gli effetti, ad un soggetto italiano.
Si tratta di un caso di esterovestizione, ovvero di “vestire” una società come se fosse estera, ed è un reato che può comportare una serie conseguenze (anche penali) se non provvedi a regolarizzare la tua posizione con il fisco.
In altre parole il fatto di essere soci oppure amministratori o aprire una società all’estero non è di per se una cosa vietata perché non c’è nessuna legge che te lo vieta, a patto di non usare la società estera come uno schermo per pagare meno tasse oppure per far fesso il fisco italiano.
Quindi dovrai fare il modello unico in Italia e quello che paghi all’estero può diventare un credito che puoi usare per diminuire quello che devi poi versare in Italia.
L’Italia ha firmato con molti Stati esteri una apposita convenzione contro le doppie imposizioni, ovvero accordo speciale fatto su misura proprio per evitare di tassare due volte gli stessi utili.
Questo ragionamento vale ovviamente se la società all’estero non è solo una scatola che ti serve per fare il furbo con il fisco, perché altrimenti le cose sono un po’ più complicate.






domenica 6 agosto 2017

L’attimo fuggente e la storia dei 3 spaccapietre #sapere per #fareimpresa

“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse e il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinto? Venite a vedere voi stessi, coraggio, è proprio quando credete di sapere qualcosa, che dovete guardarla da un’altra prospettiva, anche se ci può sembrare sciocco o assurdo, ci dovete provare…. Osate cambiare, cercate nuove strade!”

– Tratto dal film L’attimo fuggente –


Questa storiella, che ho trovato sul web un po’ di tempo fa, dimostra con estrema chiarezza, quanto a volte sia importante cambiare prospettiva nel modo in cui guardiamo le cose.
Di fronte ad uno stesso evento, infatti, ognuno di noi assume un atteggiamento diverso a seconda del modo in cui percepisce la situazione, proprio come capita ai 3 spaccapietre nella storia che segue.

La storia dei 3 spaccapietre
Durante il suo lungo cammino per raggiungere un lontano santuario, un pellegrino si imbatté in un’enorme cava dove alcuni uomini stavano scolpendo dei grossi blocchi di pietra. Gli uomini erano tutti sudati, pieni di polvere e visibilmente affaticati.
Il pellegrino si avvicinò al primo uomo che batteva con fatica il martello sulla pietra e gli chiese: “Che cosa stai facendo?”.
L’uomo molto irritato gli rispose: “Non lo vedi? Sto martellando a fatica questa stupida roccia e non vedo l’ora di finire questo maledetto lavoro per tornarmene a casa”.
Più il là c’era un secondo spaccapietre ed il pellegrino gli rivolse la stessa domanda: “Cosa stai facendo?”. L’uomo che sembrava più diligente ed interessato al suo lavoro rispose: “Sto lavorando questo blocco di pietra per costruire un muro. E’ un lavoro molto faticoso ma lo faccio per mantenere la mia famiglia”.
Il pellegrino continuò a camminare e si imbatté in un terzo spaccapietre. Anche questi era molto stanco e sudato, batteva con fervore il martello sulla pietra scolpita egregiamente e di tanto in tanto si fermava per ammirare il suo lavoro. Alla domanda:”Cosa stai facendo?” l’uomo sorrise e rispose con orgoglio:“Non vedi? Stò costruendo una cattedrale!” e guardò in alto indicando la grande costruzione che stava sorgendo sulla cima della montagna.

Cosa ci insegna questa storia?
Tre uomini, tre atteggiamenti diversi, tutti a fare lo stesso lavoro.
Ognuno dei tre spaccapietre, guarda il proprio lavoro da una prospettiva diversa e di conseguenza assume un diverso atteggiamento nei confronti di ciò che sta facendo. A seconda della prospettiva, inoltre, anche la qualità del lavoro è nei tre casi, completamente differente.

Il primo uomo concentra la propria attenzione sugli aspetti negativi del lavoro che sta svolgendo (fatica e perdita di tempo) ed assume dunque un atteggiamento negativo di rabbia e frustrazione.

Il secondo uomo, invece, percepisce il proprio lavoro come un mezzo per mantenere la famiglia, seppur affaticato, sa che deve farlo e quasi rassegnato cerca di portarlo avanti con calma e pazienza.

Il terzo uomo, al contrario di tutti, ha una visione completamente diversa di ciò che sta facendo. In questo caso guarda l’aspetto positivo del suo lavoro, non lo percepisce come un sacrificio ma come una grande impresa a cui sta dando il suo contributo e per questo cerca di fare del suo meglio per portarlo a termine egregiamente.

Questo è ciò che accade nella vita di tutti. Nel lavoro, nelle relazioni, negli impegni, in qualsiasi evento  o circostanza ciò che influenza il nostro atteggiamento ed il nostro stato d’animo è proprio la nostra personale prospettiva, gli aspetti particolari che mettiamo in evidenza.

Ecco perché è importante non fermarsi mai alle apparenze ma provare a guardare qualcosa sempre da un’angolazione diversa anche nelle cose che possono sembrarci piccole e banali.


martedì 1 agosto 2017

LE CARATTERISTICHE DI UN BUON SELEZIONATORE #sapere per #fareimpresa

Quali sono i tratti distintivi del selezionatore del personale? Quali sono le competenze che caratterizzano un buon selezionatore?

VALUTAZIONE
Una delle attività salienti del recruiter è sicuramente il colloquio di lavoro: però, durante il colloquio, il buon selezionatore non deve tener conto esclusivamente delle capacità del candidato, ma anche (anzi, soprattutto) del suo potenziale. Soprattutto quando si parla di selezione di profili junior, ovvero giovani, compito fondamentale del recruiter è ricercare un profilo interessante non solo dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista umano, poiché per un giovane non vale la regola di “ciò che sa fare”, ma “di ciò che è”, ovvero capire fin dove potrà arrivare e a che tipo di carriera può aspirare.
ESPERIENZA
Il buon selezionatore non guarda la lunghezza del cv e non dà importanza esclusivamente agli anni di esperienza del candidato. Certo, a volte gli anni di esperienza rappresentano un requisito fondamentale e di conseguenza sono un fattore rilevante. Ma, in tutti gli altri casi, non è la differenza di un paio di anni di esperienza a qualificare un profilo rispetto ad un altro. Allo stesso modo, un cv corto (ovvero di 1-2 pagine, ma ben scritto) non viene automaticamente scartato dal selezionatore, anzi! Il buon recruiter valuta soprattutto il carattere e la personalità del candidato, sia quando legge il suo cv, sia quando gli fa un colloquio.
PREGIUDIZZI
Il buon recruiter evita di farsi un’idea negativa e di dare giudizi frettolosi. Purtroppo molti selezionatori scartano profili validi poiché si basano troppo sulla prima impressione a colloquio. Spesso ciò accade perché hanno poco tempo a disposizione. Ed ecco, allora, che un curriculum scritto male, una cover poco stuzzicante, o un capello fuori posto in sede di colloquio vengono “bollati” solo poiché offrono l’immagine di un candidato per loro poco attraente. Invece, un buon selezionatore, sa leggere e riconoscere in poco tempo i cv interessanti, e sa che non bisogna giudicare una persona. 
PROFESSIONALITA’
Il bravo selezionatore deve cercare di mettere a proprio agio il candidato durante il colloquio, evitando di tenere un comportamento troppo duro e scontroso. Allo stesso tempo, però, non deve neppure mancare di essere professionale presentandosi con toni e modi troppo “amichevoli”. Come è buona norma che il candidato non dia mai del tu al recruiter, così quest’ultimo deve comportarsi in ogni occasione con professionalità e serietà.
TARGET
I social stanno diventando uno strumento molto importante anche per i recruiter, soprattutto quando sono impegnati nella ricerca diretta di profili particolarmente complessi. Detto ciò, però, non bisogna abusarne! Sarebbe utile stabilire a priori un target di riferimento ben specifico, in modo tale da eliminare la “massa” di candidati non in linea ed evitare di fare ricerche poco proficue. Senza dimenticare che molti utenti iscritti ai social del lavoro come Linkedin hanno già un’occupazione e non intendono cambiarla… Dunque, meglio non fare troppo affidamento sui social network, e seguire anche i tradizionali canali di ricerca (risposte ad annunci, candidature spontanee).