lunedì 30 gennaio 2017

Perchè le banche offrono denaro a chi non ne ha bisogno

Banche e intermediari finanziari anche in virtù degli accordi di Basilea I, II e III, sono tenuti a svolgere un controllo sempre più rigoroso del loro rischio. Ciò corrisponde quindi alla esigenza di valutare, preliminarmente alla concessione del credito ad un soggetto richiedente, il relativo grado di affidamento, e, successivamente, in seguito all’erogazione, di monitorarne il “rating” in base al rischio finanziario (rischio di credito) allo stesso attribuibile. Determinanti nella valutazione del rating, sono: 1) l’analisi quantitativa che attiene alla capacità dell’impresa di generare nel tempo flussi di cassa positivi, mantenendo un’equilibrata struttura patrimoniale e finanziaria e livelli di redditività soddisfacenti; 2) l’analisi qualitativa inerente la capacità dell’impresa di adottare scelte strategiche coerenti con l’evoluzione dell’ambiente esterno e del settore merceologico di riferimento; 3) l’analisi andamentale ovvero la valutazione dei dati di comportamento dell’impresa nei confronti della banca e del sistema bancario che sono reperibili nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.  Con riguardo alle imprese definite “Small business” (piccola e micro Impresa sintetizzabili in quelle realtà imprenditoriali che hanno un numero di occupati inferiore a 50 e un fatturato inferiore a 10 mln €) il peso dell’analisi andamentale assorbe la percentuale dell’85%, rispetto al 10% attribuito all’analisi quantitativa e al 5% a quella qualitativa.  Per le imprese “corporate” (ovvero di grandi dimensioni) il peso dell’analisi andamentale incide per il 40%, rispetto al 50% attribuito all’analisi quantitativa, e al 10% a quella qualitativa, pur conservando, anche in tali realtà, notevole rilevanza nell’attribuzione del “rating”.  Pertanto alla luce delle precedenti considerazioni diviene di assoluta importanza avere: • una conoscenza aggiornata della propria situazione creditizia, ovvero della propria centrale rischi, in quanto la stessa costituisce per i soggetti imprenditori un importante “biglietto da visita dell’impresa” nei confronti del sistema creditizio, sia al momento della richiesta di un finanziamento come di quella della rinegoziazione delle condizioni, così come nella successiva fase di vita del rapporto di credito o di affidamento con la banca. E’ pacifico che la concessione del credito e le condizioni alle quali lo stesso viene accordato sono condizionate e parametrate alle credenziali che il soggetto richiedente presenta al momento della domanda, ovvero, dalla presenza o meno di dati pregiudizievoli a suo carico eventualmente presenti nella centrale rischi; • una buona conoscenza delle norme che regolano e disciplinano la trasmissione dei dati aziendali creditizi, il significato e lo spessore attribuibile a ciascuna tipologia di segnalazione e di status del debitore. Spesso si dimentica che le banche sono società di capitali che, come qualsiasi impresa, hanno come obiettivo la massimizzazione del profitto. Ciò che caratterizza il mondo bancario dall’universo delle altre imprese è il fatto che il patrimonio di una banca (che per natura include tra le attività i crediti vantati dall’istituto nei confronti delle aziende affidate) è sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia. Più i patrimoni (e quindi più i crediti vantati nei confronti dei soggetti affidati) sono di “cattiva” qualità, più ingenti sono gli accantonamenti pretesi a fini prudenziali dall’ente di vigilanza sui bilanci di questi istituti. Tecnicamente se in un bilancio vengono accantonati più costi al fine di generare fondi prudenziali, minore è l’ammontare di utile disponibile per la distribuzione ai soci proprietari.Alla luce di queste considerazioni è facile comprendere le motivazioni che spingono le banche a ricercare sul mercato i clienti meno logori dal punto di vista finanziario, ecco perché non è infrequente sentir dire che "le banche offrono denaro a chi non ne ha bisogno" 

lunedì 23 gennaio 2017

LA FELICITÀ AUMENTA LA PRODUTTIVITÀ DELLA TUA AZIENDA? #sapere per #fare #impresa

Dieci strategie per rendere felici i dipendenti.
Dagli esperti nelle risorse umane arrivano 10 consigli per favorire il benessere e la felicità dei lavoratori, fino a poco tempo fa il benessere del fornitore interno ( dipendente) era utopia, oggi sono sempre di più le imprese che si avvalgono del modello di consapevolezza per migliorare il clima all’interno della propria azienda.
Un dipendente non stressato contribuisce a valorizzare gli asset intangibili di un’azienda?
Certo. Il dipendente offre la propria capacità professionale all’azienda soprattutto se si sente coccolato, amato. Un approccio nuovo in cui il cuore viene prima della mente è il nuovo modello di evoluzione aziendale, oggi deve partire dal “cuore” delle persone la valorizzare dell’azienda.
10 strategie per rendere felici i dipendenti.
1. Offrire spazi per la crescita: per i lavoratori è fondamentale sapere di avere la possibilità di avanzare nella carriera, con numerosi benefici per la produttività e il rendimento in ufficio.
2.  Offrire un buon programma di formazione: attivare progetti formativi aziendali favorisce non solo l'effettivo miglioramento delle competenze, ma anche una il potenziamento della soddisfazione e dell'autostima dei dipendenti.
3. Concedere piccoli bonus: i premi aziendali, anche di piccola entità, contribuiscono a rendere i lavoratori più motivati.
4. Concedere autonomia ai lavoratori: una maggiore autonomia nella gestione delle proprie mansioni, o degli orari di lavoro, rappresenta una notevole dimostrazione di fiducia da parte del datore di lavoro.
5. Creare un ambiente favorevole in ufficio: se i rapporti tra colleghi sono sereni anche la produttività aziendale ne gioverà.
6. Ove possibile promuovi il telelavoro, consentire ai dipendenti (se richiesto) di svolgere una parte delle loro da casa potrebbe rappresentare un ottimo incentivo per migliorare le proprie prestazioni lavorative.
7. Favorisci la concentrazione, stop alle comunicazioni inutili (via email, ad esempio) che rischiano di rallentare il lavoro e far perdere la concentrazione.
8. Offrire un pacchetto unico di benefici: gli esperti in HR consigliano di predisporre specifici "pacchetti di servizi" a favore dei dipendenti, ad esempio voucher finalizzati a favorire i servizi di cura (baby sitting, assistenza ai familiari anziani e simili).
9. Aiutare i lavoratori a vivere uno stile di vita sano: le aziende dovrebbero investire il più possibile nella salute e nel benessere dei propri lavoratori.
10. Concedere brevi ma salutari pause dal lavoro: lasciare ai dipendenti un po' di tempo libero, per navigare su Internet o dare un'occhiata a Facebook, rappresenta un ottima strategia per migliorare il loro rendimento.

mercoledì 18 gennaio 2017

Novità per i bilanci 2016 #sapere per # fare #impresa

Tra le novità più rilevanti per i bilanci 2016 redatti in applicazione delle norme OIC per la rappresentazione dei derivati che richiederà alle imprese una misurazione periodica del fair value degli strumenti finanziari. Se i derivati sono di copertura e l’impresa deciderà di utilizzare l’hedge accounting dovrà anche dotarsi di un processo che dimostri sia l’efficacia degli strumenti finanziari utilizzati nel mitigare il rischio “coperto” sia il grado di correlazione tra il derivato e l’operazione coperta.
Con il recepimento della direttiva 2013/34 il Legislatore nazionale elimina alcune delle storiche differenze tra il corpo dei principi contabili nazionali e quelli internazionali. In particolare, il nuovo n. 11-bis del comma 1 dell’art. 2426 c.c. impone a tutte le imprese, fatta eccezione alle micro-imprese, di rilevare nel conto economico le variazioni di fair value degli strumenti derivati, compresi quelli incorporati, a meno che si tratti di operazioni di copertura. Inoltre il comma 2 dell’art. 2426 stabilisce di fare riferimento agli IFRS omologati dall’unione europea sia per le definizioni di strumento finanziario derivato, sia per l’individuazione del modello e della tecnica di valutazione del fair value. Nello specifico si tratta dello IAS 39 «Strumenti finanziari: misurazione e rilevazione», adottato dall’Unione europea con il Reg. 1126/2008 e dell’IFRS 13 «Valutazione del fair value» omologato dall’Unione europea con il Reg. 1255/2012.
Il tema degli strumenti derivati ha sempre comportato un accesso dibattito tra gli esperti contabili, proprio in considerazione del fatto che in Italia, prima delle novità introdotte dalla riforma contabile, mancava una specifica disciplina che regolamentasse sia sul piano teoretico sia su quello applicativo la rappresentazione in bilancio degli strumenti finanziari di copertura e di natura speculativa.

mercoledì 11 gennaio 2017

Quale futuro per il giovane #commercialista #sapere per fare #impresa

La figura del commercialista
La figura del “classico commercialista” sta divenendo obsoleta: sono tante, forse troppe le esigenze che i clienti, dal più piccolo al più grande, manifestano al proprio professionista di fiducia ma che spesso non trovano (o trovano solo parziale) risposta. Il commercialista che si occupa solo di fisco e contabilità è destinato, inevitabilmente, ad evolversi nella figura più completa di consulente aziendale, a prescindere dalla grandezza dei clienti serviti, dalla loro età o dalla loro propensione ad utilizzare le nuove tecnologie. Perché tutto questo? Molti potranno obiettare affermando che i classici servizi fiscali e contabili sono quelli che oggi portano il pane al proprio studio, quelli che interessano di più la clientela, quelli realmente sentiti e realmente importanti perché, senza di quelli, come farebbe il cliente a pagare le tasse? Bene, oggi e sempre di più in futuro, la figura del “classico commercialista” sarà percepita dai clienti come “quello” che presenta l’F24 da pagare e/o comunque “quello” che quasi sempre è foriero di continue e assillanti richieste di denaro da dedicare al pagamento di tasse. A prescindere da ciò l’obiezione potrebbe continuare, infatti non è certo il commercialista la causa di tutto questo ed in fin dei conti la legge va rispettata. Tutto vero, però i dottori commercialisti non possono nascondere che un processo di cambiamento è in atto e, se non viene prontamente colto, questo processo potrà travolgere molti di loro.   

I numeri della professione
Calano i redditi pro capite, con una forbice che si fa sempre più ampia tra quelli del Nord e quelli del Sud, ma soprattutto cala il numero dei praticanti. Il rapporto 2015 messo a punto dalla Fondazione nazionale della categoria conferma lo stato di sofferenza della professione, per quanto comunque ci sia una crescita degli iscritti over 40. Nel 2014 i commercialisti sono aumentati dell’1%, arrivando a toccare quota 116.245, con un tasso di crescita più elevato tra gli ordini del Nord (+1,6%) rispetto a quelli del Centro (+06%) e del Sud (+0,7%).

Segno meno anche sul fronte dei redditi pro capite
Il rapporto, infatti, elaborando la media reddituale tra gli iscritti alla Cassa dottori e gli iscritti alla Cassa ragionieri, certifica, per il secondo anno consecutivo, un calo dei redditi professionali nominali (-1,3%) e di quelli reali, calcolati cioè al netto dell’inflazione (-3,2%). Un trend negativo che prosegue da anni.
Media redditi professionisti  (non ci sono dati più recenti)
* Fonte: elaborazione Fondazione Nazionale Commercialisti – Rapporto 2015


Reddito medio per classe di età e genere: anno 2013 ( non ci sono dati più recenti)


Forma mentis

Il commercialista che si  innova deve scrollarsi di dosso il sospetto che la partnership  possa sottrargli clienti, tanto più che l’attività dello stesso viene svolta con una continua rincorsa al rispetto delle scadenze fiscali diventate sempre più numerose, tanto da impedire nuove attività produttive.

Una soluzione!
Il commercialista deve evolvere e mutare le proprie competenze assistendo i propri clienti non solo nei servizi tradizionali altamente concorrenziali e dai bassi margini ma in servizi più strategici e a valore aggiunto per il cliente. La contabilità generale e la consulenza fiscale base non possono essere sufficienti.
Lo studio del commercialista deve trasformarsi e muoversi verso altre aree consulenziali più strategiche e più rivolte alla pianificazione aziendale e al controllo di gestione. Lo studio deve diventare un centro di consulenza dinamico e a 360°, che eroga servizi in partnership con altri esperti che abbiano le competenze necessarie di problem solver.



lunedì 9 gennaio 2017

Sei un giovane professionista. Quale futuro ti aspetta? #sapere per #fareimpresa

Tutti i professionisti devono evolvere e mutare le proprie competenze assistendo i propri clienti non solo nei servizi tradizionali altamente concorrenziali e dai bassi margini ma in servizi più strategici e a valore aggiunto per il cliente. 
Lo studio del professionista deve trasformarsi e muoversi verso altre aree consulenziali più strategiche e più rivolte alla pianificazione aziendale e al controllo di gestione. Lo studio deve diventare un centro di consulenza dinamico e a 360°, che eroga servizi in partnership con altri esperti che abbiano le competenze necessarie di problem solver.  

Ecco le 5 regole d’oro per avere un rating positivo #Sapere per #fareimpresa #benetton

Ecco le 5 regole d’oro per avere un rating positivo:

















1 
1-      Impiegare i fidi secondo i modi e i tempi concordati. Impiegare i fidi fino al limite e per un tempo prolungato può essere interpretato dalla banca come un sintomo di difficoltà finanziaria, se non è motivato dall’azienda. Per questo occorre tenere sempre sotto controllo l’effettivo utilizzo dei fidi e, qualora siano insufficienti, rinegoziarli con la banca stessa.

2-       Non eccedere con lo “scoperto di conto”. Lo scoperto deve servire solamente per far fronte a necessità di cassa improvvise. Se diventa un abitudine e il conto corrente rimane a lungo in rosso,  la banca registra un’anomalia, per prevenire la quale è opportuno rinegoziare il fido con un finanziamento a medio – lungo termine.

3-      Rimborsare le rate dei prestiti e dei mutui. Il mancato rimborso delle rate alle scadenze stabilite è segnalato in Centrale Rischi ed accende una “lampadina” di allarme sulla solvibilità aziendale. E’ più opportuno, prima di finire segnalati, avvertire la banca sulle reali difficoltà e rinegoziare la rata del prestito o del mutuo in relazione al cash flow dell’azienda.

4-       Prevenire gli scoperti e gli sconfinamenti. Se un’azienda sconfina e impiega più fidi di quanto dovrebbe, questo atteggiamento viene segnalato dalla banca e diviene visibile a tutte le banche attraverso la segnalazione alla Centrale Rischi. Da un punto di vista tecnico, una linea di fido superata da oltre 90 giorni è considerata da una banca come grave, tale da classificare l’azienda come a rischio di “default”. Per prevenire problematiche e noiose segnalazione in Centrale Rischi occorre organizzarsi al fine di monitorare i flussi tra entrate e uscite finanziarie, monitorare la situazione degli incassi e dei pagamenti e predisporre per tempo tutta la documentazione necessaria al rinnovo dei fidi.

5-      Evitare gli insoluti dei clienti: quando le fatture anticipate  o le ricevute bancarie al salvo buon fine non sono pagate dai clienti si manifesta un insoluto. Gli insoluti dei clienti peggiorano il giudizio di merito dell’azienda e rischiano anche di generare uno sconfinamento se il fido non è abbastanza capiente. Cosa deve fare un’azienda in questo caso? E’ utile per l’azienda selezionare la clientela per presentare alla banca un portafoglio clienti affidabile e, soprattutto, qualora si preveda che il cliente non sarà in grado di pagare, richiamare in tempo gli effetti depositati in banca a garanzia.