martedì 24 ottobre 2017

Meritxell Costa, giovane imprenditrice che ai suoi dipendenti non ha mai chiesto il curriculum.

Chi sta cercando di introdursi nel mondo del lavoro sta prendendo atto di come questo si sia fatto cinico nei confronti delle persone che si presentano ai colloqui: poco altro viene chiesto oltre al curriculum e una lettera di referenze, quando invece ci sarebbe da conoscere molto di più la persona che si presenta all’appuntamento.

Alcune aziende si sono già rese conto che il cartaceo spesso non rispecchia il valore del lavoratore e che quindi è necessario dare più importanza alla personalità nella scelta dei curricula.

La storia che vi riportiamo vede come protagonista Meritxell Costa, giovane imprenditrice che ai suoi dipendenti non ha mai chiesto il curriculum.  

La giovane imprenditrice ha fatto del “circondarsi di persone felici” una filosofia di vita prima di una strategia lavorativa da cui trarre benefici economici.

Proprio per questo ideale ha lasciato un posto di lavoro stabile e ben retribuito all’età di 22 anni, perché non si sentiva a suo agio.

Solo rendendosi una persona felice ha potuto seguire i suoi sogni e diventare una donna di successo: oggi, a 33 anni, è la fondatrice di un’azienda di marketing e comunicazione che porta il suo nome. Tiene anche lezioni universitarie durante le quali racconta ai futuri lavoratori la sua esperienza e i suoi ideali.

“Ai miei dipendenti non chiedo il curriculum, ma di essere brave persone”, afferma. Le aziende non hanno bisogno di infinite referenze, ma prima di tutto di persone serie che abbiano voglia di abbracciare un obiettivo comune.

Un curriculum non dice nulla, parla solo di cose oggettive: ma non hanno altrettanta importanza quelle soggettive? Quello che piace fare ad una persona, il modo in cui si approccia ad un problema e come gestisce lo stress.

Le persone che fanno parte della mia azienda le conosco bene, anche se non ho mai visto un loro curriculum: so che sono persone affidabili, che svolgono il lavoro con passione e che sono in grado di portare avanti l’azienda in caso di una mia assenza.

La società appartiene a tutti, non è solo mia.
Io cresco insieme ai miei dipendenti: non ci sono orari, ognuno sa come gestire le proprie giornate. Il riposo è propedeutico per il giorno successivo. In compenso in ufficio c’è sempre cioccolata e caffè caldo.

Al lavoro è importante essere felici: ci si passa gran parte della giornata e deve essere confortevole, anche per quanto riguarda gli indumenti che si indossano.

A chi ha deciso di cambiare lavoro consiglio di riflettere sulle ragioni e sui passaggi da fare: l’ego, lo stipendio e i contrasti con il capo non sono dei buoni motivi, lo è invece l’opportunità di crescita. Se in un’azienda si sente di non poter crescere ulteriormente, non ha più senso continuare a lavorare in quel posto.


Per essere un lavoratore felice bisogna partecipare attivamente al lavoro e alla vita aziendale, avere un costante spirito di iniziativa.


giovedì 12 ottobre 2017

Stai per uscire dal regime forfettario? #sapere per #fareimpresa

L'Italia se desta 

Ottimo video di Luca Ferrini

Stai per uscire dal regime forfettario?
ASPETTA!!! Guarda questo video prima.
La tassazione che ti aspetta potrebbe sorprenderti.



Precisazione: la tassazione è considerata in valore assoluto per anno sia essa dovuta per ritenuta d'acconto, per acconti o per saldo. 




mercoledì 4 ottobre 2017

1+1=3 “Nessun uomo è un’isola” decantava, nel 1600, il poeta inglese John Donne"




“Nessun uomo è un’isola” decantava, nel 1600, il poeta inglese John Donne"





Lavorare da soli può dare grandi soddisfazioni, ma a ben guardare, nessuno di noi può dare il meglio di sé, se rimane isolato. Anche e soprattutto al lavoro dove la capacità di coordinarsi con gli altri risulta essere sempre più richiesta. Le gratificazioni più robuste arriveranno solo se si sceglierà di mettersi in gioco con gli altri. Fare squadra al lavoro significa, infatti, disporre di un “patrimonio” inestimabile fatto di energie, competenze, idee, visioni, proposte e soluzioni differenti. Di più: coordinarsi con gli altri vuol dire concedersi la possibilità di imparare costantemente qualcosa di nuovo e di crescere. Non solo nel lavoro. Fare squadra al lavoro può rivelarsi, insomma, salvifico. Ecco perché sempre più aziende dovrebbero occuparsi “team building” e scommettere su tutta una serie di attività – formative e ludiche – tese a costruire un gruppo coeso e motivato. Si va dalle classiche discussioni in azienda, con tanto di filmati da visionare o case history da analizzare, ai giochi di ruolo fino alle proposte più “ardite” che prevedono la possibilità di far vivere un’esperienza difficile ai dipendenti. Una giornata trascorsa a fare rafting o alpinismo può far aprire gli occhi anche ai più riottosi e convincerli che mettersi a disposizione degli altri e collaborare è la gratificazione più grande che ci si possa concedere.

Perché, come dice l’autore americano, John Maxwell: “Uno è un numero troppo piccolo per raggiungere la grandezza”.