domenica 15 novembre 2020

Temporay Manager 4Innovation

 A corollario della collaborazione tra Empeiria e il dipartimento di Scienze Umane di UniVR per il progetto Temporay Manager 4Innovation, oltre all'ottimo studio compiuto dai professori A. Ceschi , R. Sartori e dalla dr.ssa E. Righetti, è stato editato questo piacevole video. I complimenti per questo vanno a Mattia Trevisani e Davide Giacometti.



martedì 3 novembre 2020

START UP, le prime 7 cose da considerare se si ha una buona idea

 

Informazioni preliminari di cui si può aver bisogno se si sta pensando di fare una start up ovvero le prime 7 cose da considerare se si ha una buona idea.


Sono molte le strade che conducono alla nascita di una nuova Impresa, e sono molte le strade che conducono alla nascita di una startup. C’è la persona che brucia di fuoco imprenditoriale e si arrovella fino a quando non ha trovato una buona idea sulla quale concentrare gli sforzi; ci sono progetti che nascono quasi per gioco, magari in un hackathon o Startup Weekend o come risposta a un contest; ci sono i frutti della ricerca universitaria; c’è anche il copycat, cioè la pratica (dai tratti ambigui) del copiare le idee altrui e puntare su una migliore execution o semplicemente la trasposizione del prodotto o servizio originali in un altro contesto geografico o di industry. Ci può essere alla base (più spesso di quanto si creda) un bisogno personale e il momento ‘eureka’ in cui la soluzione di quel bisogno ci appare chiara, lampante, monetizzabile, implementabile. Arriva il momento di agire: da dove si comincia?
Come fare una start up? Quali sono i primi passi da fare? Ma prima di tutto, una delucidazione…

Cos’è una startup (o start-up, start up)?1 – Capire cos’è l’innovazione2 – E’ il momento giusto per la tua startup?3 – Pronto a fondare la startup? Ecco il percorso del registro imprese4 – Sei sicuro di voler fondare la tua startup in Italia?

5 – Le informazioni giuste: e se ti servisse un avvocato?

6 – Come ti finanzierai?

7 – Hai un buon co-founder e un buon team?

I business angel

Il venture capital

Normativa italiana di riferimento per la startup (aggiornato 2019)

Cos’è una startup?

Una startup è un’organizzazione temporanea che ha lo scopo di cercare e validare un business model scalabile e ripetibile e, di conseguenza ha le seguenti caratteristiche:

·         la temporaneità: lo start up è una fase transitoria, l’ambizione di ogni organizzazione imprenditoriale è diventare una grande impresa,

·         la sperimentazione: la startup è alla ricerca di un modello di business, non sa esattamente quello che sta facendo, deve fare molti tentativi per trovare la formula giusta per essere profittevole facendo innovazione,

·         il modello di business oggetto della sua “search” deve essere scalabile (quindi operare in un mercato molto ampio, con possibilità di crescita) e ripetibile nei suoi processi (di vendita, distribuzione, ecc).

E’ meglio sapere da subito che il 90% delle startup fallisce. Ma questo non deve preoccupare, perché come dice Arianna Huffingthon ‘il fallimento non è il contrario di successo, ma un altro gradino verso il successo’.

A questo punto, possiamo andare avanti.

Dando per scontato che si ha un’idea da realizzare; che non preoccupa più di tanto affrontare la dura vita dell’imprenditore; che già si conosce il lessico di base del mondo startup, le prime domande che ci si deve porre sono:

·         Quanto innovativa è l’idea?

·         E’ il momento giusto per fondare questo tipo di startup?

·         Si è pronti per fondare legalmente la startup?

·         Siamo sicuri di voler fondare la startup in Italia?

·         Abbiamo tutte le informazioni di base che ci servono? (legali, fiscali, brevetti, ecc)

·         Come potremo finanziarci?

·         Abbiamo un buon co-founder e un buon Team?

1 – Quanto innovativa è l’idea?

Capire cos’è l’innovazione sembra una domanda inutile, ma in effetti è consigliabile evitare blande approssimazioni

Secondo l’economista austriaco Joseph Schumpeter che per primo teorizzò il concetto di “innovazione” (e se vogliamo anche quello di “disruption” che si definisce Distruzione Creatrice), l’innovazione è intrinsecamente legata all’impresa e al sistema economico, e si sostanzia nell’introduzione nel mercato di un prodotto nuovo, o nell’introduzione di nuovi processi, tecniche, organizzazione del lavoro che abbattono i costi di produzione o aprono nuovi mercati. L’innovazione è quindi di Prodotto o di Processo, ma deve essere introdotta nel ciclo economico ed essere capace di modificarne lo scenario e generare valore, per l’impresa stessa e per i suoi clienti. Se la creatività è avere delle idee, l’innovazione ne è l’applicazione; un’invenzione, per quanto stupefacente, non è innovazione se non trova una dimensione applicativa che garantisce un progresso sociale.

Il ruolo e il dovere, anche etico dunque, di tutte le imprese è di essere innovative; le startup sono gli avamposti di frontiera, o le punte di diamante della cultura dell’innovazione intesa in questo modo. Se ci è capitato di vedere film, o leggere storie di grandi startupper e case history della Silicon Valley sapremo che tutte le startup vogliono ” cambiare il mondo”. E’ la missione generale, per tutti.

Andando più sul pratico, come il nostro ordinamento ha interpretato il concetto d’innovazione? Cosa richiede di dimostrare, in questa direzione, per incasellare una società come “impresa innovativa”?

Perché possa definirsi innovativa il nostro ordinamento richiede (art.25, Decreto Crescita 2.0) che “la startup abbia quale oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. Nel caso di “prevalenza” l’attività innovativa coesiste con altre attività della società, può essere autocertificata dal legale rappresentante ma essere basata su fatti oggettivi, come i fatturati raggiunti dalla startup. In questa definizione, vediamo anche che il concetto d’innovazione è legato al valore tecnologico. Un altro requisito che indirettamente incide sulla qualifica di innovatività è nello stesso Decreto quello che prevede che la startup soddisfi almeno una di queste 3 condizioni:

-Spese in R&D uguali o superiori al 15% del maggior valore tra costo e valore totale della produzione;

-Impiego come dipendenti o collaboratori di almeno un determinato numero di personale qualificato da titoli di studio

-Titolarità (o disponibilità in licenza) di un brevetto industriale funzionale all’oggetto sociale.

A questi si aggiungono altri requisiti, come l’età della startup, per i quali si rimanda al sito del Registro Imprese Innovative. E’ chiaro che le caratteristiche scelte dal legislatore per individuare startup innovative stanno piuttosto strette a molte società che pure innovative sono, mentre al contrario, possono rispondere a tali requisiti società che, in definitiva, tanto innovative non sono, altrimenti non si spiegherebbe come mai 6 startup innovative su 10 del registro imprese sono prive di un Sito web. 

 

2 – E’ il momento giusto per fondare questo tipo di startup?

L’idea non sempre conta. Ci sono idee imprenditoriali che sembrano interessanti. A volte però non è il momento giusto per svilupparle o ci si trova in un luogo poco adatto a renderle un progetto vincente. Una tecnologia, per esempio, non sempre giunge sul mercato con l’applicazione giusta; può anche arrivare troppo presto, quando i potenziali utilizzatori non sono pronti, o troppo tardi, quando la competizione è eccessiva.

In un progetto imprenditoriale il tempo è tutto. Arrivare al momento giusto può fare la differenza tra successo e insuccesso, o meglio, può generare un vantaggio non da poco.

 

3 – Si è pronti per fondare legalmente la startup? (Segue percorso Registro Imprese).

La startup è, prima di tutto, un’impresa. Quindi nessun motivo osta al fatto che per darle vita legale venga seguita la procedura prevista dal nostro ordinamento per aprire una qualsiasi impresa: scelta della forma giuridica e costituzione di una società, apertura di una partita iva, iscrizione al registro imprese, ecc.

Essere (nella sostanza) impresa innovativa, non scaturisce dall’ iscriversi al Registro delle imprese innovative. L’innovatività è un carattere intrinseco della startup, non un’etichetta.

Rimane tuttavia il fatto che l’iscrizione al Registro Imprese come startup innovativa serve a poter essere titolari di determinati vantaggi di natura burocratica e fiscale.

Tra i vantaggi, sta il fatto che solo con l’iscrizione al registro si può accedere al Fondo Centrale di Garanzia per ottenere la garanzia da parte dello Stato nei confronti di un Banca a cui si richiede un prestito, fatto che ha reso più semplice anche alle startup trovare finanziamenti presso gli Istituti di Credito.

Dal 20 luglio 2016 chi voglia in Italia costituire una società innovativa in forma giuridica di Srl (Spa e Sapa sono escluse), può farlo Online e senza il coinvolgimento obbligatorio di un notaio.

Chi preferisce rivolgersi al notaio (che, va ricordato, non è un mero compilatore di atti), può naturalmente farlo; ma nel caso in cui la scelta più low cost abbia il sopravvento, oggi esiste la possibilità di costituire la propria startup in modo semplificato e a costo irrisorio con gli strumenti messi a disposizione Online dalla PA.

Basta andare alla pagina dedicata nel sito del Registro delle imprese di InfoCamere e seguire la procedura per ottenere la generazione dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, documenti che solitamente redige il notaio e che servono obbligatoriamente per la costituzione della Srl.

Per chi volesse verificare il processo online (prima di registrarsi e accedere alla definitiva procedura) è possibile entrare attraverso il link “compila” anche senza registrazione e simulare il processo, che sembra essere piuttosto semplice e ben strutturato in campi dati corrispondenti ai vari elementi che gli atti (statuto e costitutivo) devono presentare.

Ecco cosa viene richiesto per l’atto costitutivo:

·      data e luogo

·      sottoscrittori (almeno uno)

·      denominazione

·      sede

·      capitale sociale

·      conferimenti

·      chiusura esercizi

·      amministrazione

·      spese e tasse

·      allegati

·      richiedente

·      autentica

 

Dati richiesti per lo Statuto:

·      denominazione

·      sede

·      oggetto

·      durata

·      capitale sociale

·      aumento di capitale

·      strumenti finanziari

·      quote partecipazione

·      trasferimento quote

·      quote deceduto

·      socio recesso

·      esclusione socio

·      modalità decisioni

·      decisioni quorum

·      amministrazione

·      adunanze

·      scioglimento

·      allegati

·      autentica

 

La tipologia delle informazioni richieste, specialmente nello Statuto, come si vede, non è del tutto banale e sarebbe bene che sia presente tra i fondatori della startup una o più persone esperte in materia; o che ci si affidi alla cura di un commercialista che abbia già avuto esperienza in startup.

Il presunto vantaggio del risparmio del notaio è un po’ uno specchietto per le allodole: in realtà, la costituzione di startup innovative è un business di nicchia e in verità poco redditizio per i notai (ricordiamo che i costi sono sempre concordati con il cliente e che ci sono diverse centinaia di euro di “bolli e imposte”) che saranno sicuramente poco preoccupati di perdere questa tipologia di clientela.

E’ importante sottolineare che, per quanto sia benvenuta la possibilità offerta da una modalità online di costituzione della società, ciò non deve ingenerare l’idea che la burocrazia venga completamente bypassata: il modello tipizzato consente unicamente di saltare la porta del notaio, e il relativo costo (che può arrivare a 2000 euro), ma non sottrae ad altri adempimenti richiesti dal caso come la registrazione fiscale dei documenti (che può avvenire anch’essa online), l’apertura di conti correnti, registrazioni di contratti di lavoro, ecc.

E’ altrettanto importante dire che nella procedura Online manca completamente quel genere di controlli che il notaio è tenuto a fare: tipicamente i controlli sulle identità delle persone e quelli per anti-riciclaggio. I rischi che si corrono in definitiva sono, secondo i notai, i furti d’identità e la creazione di startup fasulle se non addirittura veicolo di copertura per traffici illeciti.

 

4 – Siamo sicuri di voler fondare la startup in Italia?

Il nostro consiglio è: pensaci bene, ma in modo costruttivo. Si deve valutare il proprio business, il proprio mercato di riferimento, la propria organizzazione societaria, il proprio team e le proprie ambizioni in termini d’investimenti.

L’Italia è un Paese in cui si investe ancora poco in startup rispetto a Paesi anche confinanti, la burocrazia e la certezza del diritto rendono difficile la vita di un’impresa e la conquista d’investitori esteri; ma può essere il posto perfetto per il tipo di business della propria startup o per le competenze che servono alla propria startup.

5 – Abbiamo tutte le informazioni di base che ci servono? (Legali, fiscali, brevetti, ecc.)

Quando è il momento migliore per rivolgersi a uno studio legale? Quando dobbiamo ancora costituire la società o nel momento in cui arrivano gli investitori? In che modo un avvocato può aiutare la start up? Si occupa solo di redigere i contratti o ci sono altri aspetti in cui può essere di supporto? Antonia Verna è un avvocato specializzato in ambito startup, partner dello Studio internazionale Portolano-Cavallo, che può fornire diverse indicazioni preziose.Sotto il profilo dei brevetti potrebbe essere utile sapere che anche in Italia, disponendo della denominata Patent Box, è ora possibile aderire alla tassazione agevolata dei redditi derivanti da opere dell’ingegno, brevetti industriali, marchi e disegni.

 

6 – Come potremo finanziarci?

Per una startup, operando con ordine e chiarezza, è abbastanza facile chiedere un finanziamento in Banca grazie al Fondo Centrale di Garanzia. Ma certamente la Banca non è l’unico e nemmeno il più indicato strumento di finanziamento per una startup, che è un Impresa ad alto tasso di fallimento e deve pertanto trovare forme di finanza alternativa.

Vi sono altre fonti:

·      Bootstrapping   E’ l’autofinanziamento, che può andare avanti anche per molto tempo se la startup riesce a fatturare e finanziare con la cassa il suo sviluppo; ma è difficile che sia sufficiente e opportuno anche per fare il balzo dello scaleup.

·      Family, Friends & Fools (3F) – I primissimi sostenitori della startup, è presumibile che non chiederanno nemmeno quote della società.

·      Business Angels – E’ una categoria molto ampia e variegata, che può in alcuni casi avvicinarsi ai “fool” della precedente categoria e in altri ai cugini del Venture Capital. Sono spesso figure imprenditoriali o manageriali a cui piace dare un contributo anche in termini di competenze apportate. I Business Angel spiegati nei dettagli si trovano qui.

·      Crowdfunding – E’ un’ottima soluzione soprattutto per progetti early stage b2c,  perché rappresenta spesso anche un test di mercato.

·      Venture Capitalist – Il loro mestiere è fare un buon deal che generi ritorni elevati, naturalmente chiedono in cambio una bella fetta della società e uno o più posti nel Board. Di solito servono per la crescita, perchè generalmente investono su startup anche early stage, ma con business model validato.

·      Premi, grant, finanziamenti pubblici – Per la loro natura, entità, modalità, in Italia possono assurgere a integrazione di altre fonti di finanziamento. Spesso i risultati ai quali portano non valgono gli sforzi necessari a raggiungerli; nel caso dei Premi, attenzione al fatto che portano spesso anche visibilità mediatica che può fare bene, ma anche fare male.

·      Incubatori e programmi di accelerazione – Sono anche queste soluzioni utili in determinati momenti della startup, ma il loro valore non è essere una fonte di finanziamento vera e propria (anche perché forniscono molto in servizi), quanto un supporto per lo sviluppo dell’idea e del business model.

7. Abbiamo un buon co-founder e un buon Team?

Il timing è tutto per una startup, abbiamo detto sopra. Ma anche il Team.

E’ dal Team che dipende l’ ”EXECUTION”, cioè la capacità di realizzare concretamente la missione dell’impresa, e tradurla in successo. Il Team è un asset della startup, a cui anche gli investitori danno moltissima importanza.

Il Team è composto prima di tutto dal Fondatore che probabilmente è anche il Leader, le cui caratteristiche, nella maggioranza dei casi, hanno contorni e motivazioni originali, distintive, attraenti perché carismatiche, spesso fuori del comune, che possono essere simpatiche, ma anche antipatiche  e che, comunque, trovano sempre delle persone che ci vanno dietro.Oltre al Fondatori, al timone della startup, con l’affermazione crescente dei risultati, nel tempo spesso capita di vedere un suo Socio

Quando muove i suoi primi passi la startup è composta generalmente da 2-3 persone, ma già nel corso del primo anno di vita potrebbe avere la necessità di nuovi collaboratori. Le assunzioni in nessuna azienda piccola o grande, sono semplici; ma in una startup sono cruciali, poiché le persone che si cercano oltre ad avere determinate competenze e attitudini, dovranno in qualche modo “sposare” la causa ed essere pronte a lavorare con modalità molto differenti da quelle canoniche. Inoltre dovranno trovare armonia e sinergia con gli altri componenti della squadra.

Sono le prime 5 persone che si troverà a dover assumere quelle che aiuteranno il Fondatore a fare Team building, ovvero la base della struttura di funzionamento dell’Impresa.

Un Team ben strutturato e che lavora bene insieme può portare lontano la startup è capace di tener duro sotto pressione e non crollare nei momenti di fallimento e smarrimento. Ma un Team forte, non è frutto del caso, è un obiettivo che si può raggiungere anche adottando una buona comunicazione e coltivando specifiche abitudini che valorizzano i super poteri di ogni talento individuale.

Dopo aver esaminato quali sono i primi 7 passi della startup, è possibile affrontare meglio, temi più specifici., ad  esempio, approfondendo il mondo del capitale di rischio che tipicamente sostiene economicamente (e non solo) la startup.

 

I Business Angels.

Si definisce Business Angel, tecnicamente investitore informale in capitale di rischio, la persona fisica che investe nella startup con capitali propri. La sua è spesso una vera e propria passione motivata dall’aspirazione a sostenere la crescita di giovani imprese, quindi spesso oltre al capitale porta alla startup un aiuto manageriale, la propria esperienza, conoscenze, contatti.

Secondo la definizione di Iban – lo storico network italiano di Business Angel:

In genere sono ex titolari di impresa, managers in attività o in pensione, che dispongono di mezzi finanziari (anche limitati), di una buona rete di conoscenze, di una solida capacità gestionale e di un buon bagaglio di esperienze. Hanno il gusto di gestire un business, il desiderio di acquisire una partecipazione in aziende con alto potenziale di sviluppo e l’interesse a monetizzare una significativa plusvalenza al momento dell’uscita; l’obiettivo dei Business Angels è quello di contribuire alla riuscita economica di un’azienda ed alla creazione di nuova occupazione.

Il Business Angel interviene in genere in fase early stage e può investire da un minimo di 5-10 mila euro fino anche a 100-200 mila euro, maggiori investimenti si ottengono attraverso il coinvolgimento di più Angel sullo stesso deal, operazione definita in syndacation.

 

Il venture capital

Il Venture Capital è una forma d’investimento ad alto rischio che sostiene finanziariamente ‘fast growing company’ ovvero startup. Un fondo di Venture Capital può essere privato, pubblico o misto.

Le persone che fondano o gestiscono un fondo Venture Capital sono chiamati Venture Capitalist.

Il Venture Capital quando investe acquisisce quote della società, richiede generalmente la presenza nel direttivo della società e, in molti casi, offre anche supporto operativo, mettendo a disposizione competenze manageriali, tecniche, relazioni.

I tre aspetti che convincono il VC all’investimento sono: un team solido e molto competente; un mercato di riferimento molto ampio; un prodotto/servizio che abbia già vantaggio competitivo.

 

La normativa italiana di riferimento per la startup (aggiornato 2019)

Le normative di riferimento principali che riguardano la costituzione e gestione della startup innovativa, elencate dallo stesso sito dell’Agenzia delle Entrate, sono:

Articoli 25-31 del decreto legge n. 179/2012 – pdf – Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese

Decreto interministeriale del 30/01/2014 – pdf – Modalità di attuazione dell’articolo 29, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in materia di incentivi fiscali all’investimento in start-up innovative

Articolo 1, comma 218 della legge n. 145 del 2018 – pdf – Legge di bilancio 2019

Altri riferimenti (aggiornamenti e integrazioni alle norme suddette):

– variazioni apportate da DL 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla Legge 9 agosto del 2013, n. 99;

– disposizioni di cui all’art. 11 bis del DL 31 maggio 2014 n. 83, convertito dalla legge n. 106 del 29 luglio 2014;

– indicazioni interpretative introdotte dalle circolari 16/E dell’11 giugno 2014 dell’Agenzia delle Entrate e 3672/C del 29 agosto 2014 del Ministero dello Sviluppo economico;

– variazioni apportate dal DL 24 gennaio 2015, n.3, convertito dalla Legge n.33 del 24 marzo 2015;

– variazioni apportate dal DL 14 dicembre 2018, n.135 (decreto semplificazioni), convertito dalla Legge n.12 del 11 febbraio 2019

Le novità introdotte nel 2019 con la Legge di Bilancio, in particolare, hanno riguardato non tanto la startup direttamente, quanto misure che influiscono sugli investimenti in startup e pertanto ne supportano la nascita. 

·         L’incentivo fiscale per gli investitori passa al 40% (prima era il 19%)

·         Nasce ufficialmente l’asset class “Venture Capital”, il che significa che i gestori dei grandi fondi potranno allocare risorse anche in questo ambito

·         Invitalia Ventures passa sotto il controllo di CDP e gestirà il Fondo di Fondi nazionale. Inoltre lo Stato si impegna a veicolare ogni anno il 15% dei dividendi delle partecipate statali in Venture Capital. Quindi tra soldi di Stato, soldi di CDP, soldi in arrivo grazie al punto precedente, supereranno facilmente il miliardo di euro, e soprattutto con ricorsività. Soldi che verranno a loro volta parcellizzati in decine di fondi privati di Venture Capital, affiancandoli ad altra raccolta, quindi avendo un positivo effetto moltiplicatore sul settore.

·         I PIR, i Piani Individuali di Risparmio, strumenti di incentivazione che mettono una parte della raccolta in economia reale e che lo scorso anno si sono riversati quasi solo in Borsa, dovranno girare un 5% di questa raccolta in Seed e Venture Capital. Si aggiunge alla liquidità del sistema un importo stimabile in 500 Milioni di Euro.

·         Nasce ufficialmente la categoria dei Business Angel, con un registro tenuto da Banca d’Italia.

·         Vengono semplificate le comunicazioni annuali per le startup, che d’ora in poi invece che verso la Camera di Commercio di appartenenza si dovranno fare sul portale del MiSE.

·         Exit: l’acquisizione da parte di una società di una startup potrà godere dell’incentivo fiscale del 50% dell’importo dell’acquisizione, cosa che spingerà finalmente ad aggregare e crescere un po’ di nuove aziende italiane che da medie potrebbero diventare grandi e molto grandi, nel frattempo facilitando il ritorno degli investimenti a chi ha finanziato le startup.

Anche dal lato startup, pmi innovative e srls, la legge 12/2019, di conversione del decreto Semplificazioni (D.L. n. 135/2018), ha introdotto novità.

E’ stata previsto che le start up e PMI innovative (e gli incubatori certificati) debbano utilizzare come unico sistema la piattaforma informatica startup.registroimprese.it. per assolvere agli obblighi informativi, cioè per dare tutte le informazioni che sono tenute a fornire in sede di presentazione della domanda d’iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese. 

 

Design Thinking: quali sono i diversi approcci e quali benefici producono?

Il Design thinking è l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di Prodotti, edifici e macchinari è sviluppata da team di Design creato. Negli ultimi anni il concetto di Design Thinking si è spostato verso l’innovazione di Prodotti e Servizi. In quest’ottica il Design Thinking si configura come modello progettuale volto alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione creative.  Tale approccio è stato codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford ed è centrato sulle persone e si basa sull’abilità di integrare capacità analitiche con attitudini creative. Uscito dagli Studi di Design, sta permeando vari settori: in particolar modo la consulenza direzionale, la trasformazione digitale e la progettazione di software e interfacce.

Dopo il Total Quality Management degli anni ’80, il Design Thinking ha oggi il potere di attivare le energie creative delle persone coinvolte e migliorare radicalmente i processi aziendali. Con una spinta sottile, ma irreversibile, il Design Thinking riesce a scardinare pregiudizi (ad esempio, il nostro radicarci in uno status quoe norme comportamentali (ad esempio, “Qui le cose le facciamo così”) che bloccano l’esercizio di immaginare soluzioni diverse. Pregiudizi e norme comportamentali sono, per Liedtka, i principali nemici e una delle principali cause di fallimento per tante aziende che hanno provato a innovare senza adottare un processo adeguato all’obiettivo.

Per avere successo, un processo di innovazione ha bisogno di tre elementi: soluzioni di qualità, bassi rischi e costi, partecipazione dei dipendenti.

Ciascuno di essi ha vantaggi e svantaggi: sono le sfide dell’innovazione.

 

Soluzioni di qualità

Definire i problemi in contesti convenzionali porta a soluzioni ovvie. Una domanda più interessante spinge il Team a trovare risposte più originali. Le soluzioni che coinvolgono le persone e portano voci nuove nella discussione aiutano a trovare risposte inaspettate.


Bassi rischi e costi

Fare cose nuove significa fare cose che non conosciamo e non sappiamo che effetto avranno su di noi e sul mondo che ci circonda.

Avere più opzioni aiuta a scegliere rischi e costi più bassi, ma solo se la selezione scarta le idee peggiori. Come avviene spesso, le idee che consideriamo peggiori sono quelle insolite, e spesso anche quelle più creative.

 

Partecipazione dei dipendenti

Nessuna azienda o società civile può innovare se i suoi dipendenti (o cittadini) non partecipano.

Le soluzioni calate dall’alto creano risposte di comodo: senza partecipazione, l’innovazione non esiste. Le soluzioni troppo partecipative, d’altronde, generano caos.

Senza una tecnologia sociale che gestisca i diversi touchpoint e aiuti le persone a superare gli ostacoli comportamentali, la strada è senza uscita.


Un percorso ben segnato.

Il Design Thinking propone un set di strumenti che aiutano a delimitare il percorso senza annullare il contributo individuale di chi partecipa.

È un processo organizzato che evita che i partecipanti (che Lietdka chiama “innovatori”) perdano troppo tempo su un problema o che lo saltino per impazienza.

Le persone sono guidate dalla paura di sbagliare e cercano di evitare che avvenga, a discapito delle opportunità: scelgono di non fare per evitare i rischi. Senza azione non c’è innovazione, e allora la sicurezza psicologica è essenziale.

Gli strumenti ben delimitati del Design Thinking offrono quel senso di sicurezza che serve alle persone per generare e testare nuove idee. Alcune sue metodologie nascono infatti dall’etnografia e dalla sociologia, ed esaminano cosa rende significativa una  customer journey  più che raccogliere semplici dati. Una volta compresi i bisogni delle persone, gli innovatori potranno identificare soluzioni specifiche.

Il momento fondamentale è l’organizzazione degli incontri con i partecipanti e il dialogo sulle possibili soluzioni.

Nel Design Thinking la fase di prototipazione è un’esperienza continua: i cambiamenti radicali accadono durante il percorso, e riducono la normale paura delle persone sottoposte. 

I processi di Design-Thinking, insomma, attaccano i pregiudizi delle persone mentre affrontano le sfide tipiche di chi cerca soluzioni superiori, costi e rischi bassi e partecipazione dei dipendenti.

Forma le esperienze in un percorso strutturato, che spaventa meno e coinvolge negli obiettivi e nella creazione di un risultato condiviso.

È una vera tecnologia sociale al lavoro, una delle poche davvero efficaci nel progettare un futuro sostenibile.

 

I Principi del Design Thinking

Creatività       

il Design Thinking è un approccio che fa leva sulla capacità delle persone coinvolte nell’essere creative. È infatti caratterizzato da strumenti e metodologie che supportano la generazione delle idee come l’How Might We.

Prototipazione         

La prototipazione velocizza i processi di Design Thinking perché consente di comprendere in maniera rapida punti di forza e debolezza delle nuove soluzioni da implementare. Questo principio è strettamente correlato a quello di user contribution: nel Design Thinking non ci si limita a definire i passi per immaginare un’idea o una soluzione, ma si arriva alla concreta realizzazione di tale idea mediante il confezionamento di un prototipo. Tali prototipi possono concretizzarsi in roadmap di sviluppo o addirittura in veri e propri modelli funzionanti.

User Contribution     

Il Design Thinking nasce dalla volontà di guardare ai bisogni dei utenti e aiutarli a risolverli. Per questo è fondamentale il ruolo che l’utente finale ricopre nel processo di innovazione. Per assolvere a tale principio, nel Design Thinking si fa largo uso di ricerche etnografiche e A/B Test.

Durata del processo            

I progetti di Design Thinking hanno una durata che può variare nell’ordine di ore, giorni, mesi e anni, a differenza di altri approcci basati sul design, come il Design Sprint utilizzato da Google, che hanno una durata definita. Questo perché il processo di Design Thinking predilige fasi e dinamiche divergenti, in cui si generano innumerevoli nuove idee attraverso lunghi momenti di brainstorming.

Principali ambiti di utilizzo del Design Thinking:    

  • Progettazione e lancio di startup
  • Progettazione, realizzazione e distribuzione di prodotti e servizi innovativi
  • Formazione[9]
  • Consulenza str
Antonio Motteran 2020