Informazioni preliminari di cui si può aver bisogno se si sta pensando di fare una start up ovvero le prime 7 cose da considerare se si ha una buona idea.
Sono molte le strade che conducono alla nascita di una nuova Impresa, e sono molte le strade che conducono alla nascita di una startup. C’è la persona che brucia di fuoco imprenditoriale e si arrovella fino a quando non ha trovato una buona idea sulla quale concentrare gli sforzi; ci sono progetti che nascono quasi per gioco, magari in un hackathon o Startup Weekend o come risposta a un contest; ci sono i frutti della ricerca universitaria; c’è anche il copycat, cioè la pratica (dai tratti ambigui) del copiare le idee altrui e puntare su una migliore execution o semplicemente la trasposizione del prodotto o servizio originali in un altro contesto geografico o di industry. Ci può essere alla base (più spesso di quanto si creda) un bisogno personale e il momento ‘eureka’ in cui la soluzione di quel bisogno ci appare chiara, lampante, monetizzabile, implementabile. Arriva il momento di agire: da dove si comincia? Come fare una start up? Quali sono i primi passi da fare? Ma prima di tutto, una delucidazione…
Cos’è una
startup?
Una startup è un’organizzazione
temporanea che ha lo scopo di cercare e validare un business model scalabile e
ripetibile e, di conseguenza ha le seguenti caratteristiche:
·
la temporaneità: lo start
up è una fase transitoria, l’ambizione di ogni organizzazione imprenditoriale è
diventare una grande impresa,
·
la sperimentazione: la
startup è alla ricerca di un modello di business, non sa esattamente quello che
sta facendo, deve fare molti tentativi per trovare la formula giusta per essere
profittevole facendo innovazione,
·
il modello
di business oggetto della sua “search” deve essere scalabile (quindi
operare in un mercato molto ampio, con possibilità di crescita) e ripetibile nei suoi
processi (di vendita, distribuzione, ecc).
E’ meglio sapere da subito che il 90%
delle startup fallisce. Ma questo non deve preoccupare, perché come dice
Arianna Huffingthon ‘il fallimento non è il contrario di successo, ma un altro
gradino verso il successo’.
A questo punto, possiamo andare avanti.
Dando per scontato che si ha un’idea da
realizzare; che non preoccupa più di tanto affrontare la dura vita dell’imprenditore;
che già si conosce il lessico di base del mondo startup, le prime domande che
ci si deve porre sono:
·
Quanto
innovativa è l’idea?
·
E’ il momento
giusto per fondare questo tipo di startup?
·
Si è
pronti per fondare legalmente la startup?
·
Siamo sicuri
di voler fondare la startup in Italia?
·
Abbiamo
tutte le informazioni di base che ci servono? (legali, fiscali, brevetti, ecc)
·
Come
potremo finanziarci?
·
Abbiamo
un buon co-founder e un buon Team?
1 – Quanto innovativa è l’idea?
Capire cos’è l’innovazione sembra una
domanda inutile, ma in effetti è consigliabile evitare blande approssimazioni
Secondo l’economista austriaco Joseph
Schumpeter che per primo teorizzò il concetto di “innovazione” (e se vogliamo
anche quello di “disruption” che si
definisce Distruzione Creatrice),
l’innovazione è intrinsecamente legata all’impresa e al sistema economico, e si
sostanzia nell’introduzione nel mercato di un prodotto nuovo, o
nell’introduzione di nuovi processi, tecniche, organizzazione del lavoro che
abbattono i costi di produzione o aprono nuovi mercati. L’innovazione è quindi di
Prodotto o di Processo, ma deve
essere introdotta nel ciclo economico ed essere capace di modificarne lo
scenario e generare valore, per l’impresa stessa e per i suoi clienti. Se la
creatività è avere delle idee, l’innovazione ne è l’applicazione; un’invenzione, per quanto stupefacente, non
è innovazione se non trova una dimensione applicativa che garantisce un
progresso sociale.
Il ruolo e il dovere, anche etico
dunque, di tutte le imprese è di essere innovative; le startup sono gli
avamposti di frontiera, o le punte di diamante della cultura dell’innovazione
intesa in questo modo. Se ci è capitato di vedere film, o leggere storie di
grandi startupper e case history della Silicon Valley sapremo che tutte le
startup vogliono ” cambiare il mondo”. E’ la missione generale, per tutti.
Andando più sul pratico, come il
nostro ordinamento ha interpretato il concetto d’innovazione? Cosa
richiede di dimostrare, in questa direzione, per incasellare una società come “impresa
innovativa”?
Perché possa definirsi innovativa il
nostro ordinamento richiede (art.25, Decreto Crescita 2.0) che “la startup
abbia quale oggetto sociale,
esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di
prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. Nel caso di
“prevalenza” l’attività innovativa coesiste con altre attività della
società, può essere autocertificata dal legale rappresentante ma essere basata
su fatti oggettivi, come i fatturati raggiunti dalla startup. In questa
definizione, vediamo anche che il concetto d’innovazione è legato al valore tecnologico.
Un altro requisito che indirettamente incide sulla qualifica di innovatività è
nello stesso Decreto quello che prevede che la startup soddisfi almeno una di
queste 3 condizioni:
-Spese in R&D uguali o superiori al
15% del maggior valore tra costo e valore totale della produzione;
-Impiego come dipendenti o collaboratori
di almeno un determinato numero di personale qualificato da titoli di studio
-Titolarità (o disponibilità in licenza)
di un brevetto industriale funzionale all’oggetto sociale.
A questi si aggiungono altri requisiti,
come l’età della startup, per i quali si rimanda al sito del
Registro Imprese Innovative. E’ chiaro che le caratteristiche scelte
dal legislatore per individuare startup innovative stanno piuttosto strette a
molte società che pure innovative sono, mentre al contrario, possono rispondere
a tali requisiti società che, in definitiva, tanto innovative non sono,
altrimenti non si spiegherebbe come mai 6 startup innovative su 10 del registro imprese sono prive di un Sito
web.
2 – E’ il momento giusto per fondare questo tipo di startup?
L’idea non sempre conta. Ci
sono idee imprenditoriali che sembrano interessanti. A volte però non è il
momento giusto per svilupparle o ci si trova in un luogo poco adatto a renderle
un progetto vincente. Una tecnologia, per esempio, non sempre giunge sul mercato
con l’applicazione giusta; può anche arrivare troppo presto, quando i
potenziali utilizzatori non sono pronti, o troppo tardi, quando la competizione
è eccessiva.
In un progetto imprenditoriale il tempo è tutto. Arrivare al momento giusto può fare la differenza tra
successo e insuccesso, o meglio, può generare un vantaggio non da poco.
3 – Si è pronti per fondare legalmente la startup? (Segue percorso Registro Imprese).
La startup è, prima di tutto,
un’impresa. Quindi nessun motivo osta al fatto che per darle vita legale venga
seguita la procedura prevista dal nostro ordinamento per aprire una qualsiasi
impresa: scelta della forma giuridica e costituzione di una società, apertura
di una partita iva, iscrizione al registro imprese, ecc.
Essere (nella sostanza) impresa
innovativa, non scaturisce dall’ iscriversi al Registro delle imprese
innovative. L’innovatività è un carattere intrinseco della startup, non
un’etichetta.
Rimane tuttavia il fatto che l’iscrizione
al Registro Imprese come startup innovativa serve a poter essere titolari di
determinati vantaggi di natura burocratica e fiscale.
Tra i vantaggi, sta il fatto che solo
con l’iscrizione al registro si può accedere al Fondo Centrale di Garanzia per
ottenere la garanzia da parte dello Stato nei confronti di un Banca a cui si
richiede un prestito, fatto che ha reso più semplice anche alle startup trovare
finanziamenti presso gli Istituti di Credito.
Dal 20 luglio 2016 chi voglia in Italia
costituire una società innovativa in forma giuridica di Srl (Spa e Sapa sono
escluse), può farlo Online e senza il coinvolgimento obbligatorio di un notaio.
Chi preferisce rivolgersi al
notaio (che, va ricordato, non è un mero compilatore di atti), può naturalmente
farlo; ma nel caso in cui la scelta più low cost abbia il sopravvento, oggi
esiste la possibilità di costituire la propria startup in modo semplificato e a
costo irrisorio con gli strumenti messi a disposizione Online dalla PA.
Basta andare alla pagina dedicata nel sito del Registro delle imprese di
InfoCamere e seguire la procedura
per ottenere la generazione dello Statuto e dell’Atto Costitutivo, documenti
che solitamente redige il notaio e che servono obbligatoriamente per la
costituzione della Srl.
Per chi volesse verificare il processo
online (prima di registrarsi e accedere alla definitiva procedura) è possibile
entrare attraverso il link “compila”
anche senza registrazione e simulare il processo, che sembra essere piuttosto
semplice e ben strutturato in campi dati corrispondenti ai vari elementi che
gli atti (statuto e costitutivo) devono presentare.
Ecco cosa viene richiesto per l’atto
costitutivo:
·
data e luogo
·
sottoscrittori (almeno uno)
·
denominazione
·
sede
·
capitale sociale
·
conferimenti
·
chiusura esercizi
·
amministrazione
·
spese e tasse
·
allegati
·
richiedente
·
autentica
Dati richiesti per lo Statuto:
·
denominazione
·
sede
·
oggetto
·
durata
·
capitale sociale
·
aumento di capitale
·
strumenti finanziari
·
quote partecipazione
·
trasferimento quote
·
quote deceduto
·
socio recesso
·
esclusione socio
·
modalità decisioni
·
decisioni quorum
·
amministrazione
·
adunanze
·
scioglimento
·
allegati
·
autentica
La tipologia delle informazioni
richieste, specialmente nello Statuto, come si vede, non è del tutto banale e sarebbe
bene che sia presente tra i fondatori della startup una o più persone esperte
in materia; o che ci si affidi alla cura di un commercialista che abbia già
avuto esperienza in startup.
Il presunto vantaggio del risparmio del
notaio è un po’ uno specchietto per le allodole: in realtà, la costituzione di
startup innovative è un business di nicchia e in verità poco redditizio per i
notai (ricordiamo che i costi sono sempre concordati con il cliente e che ci
sono diverse centinaia di euro di “bolli e imposte”) che saranno sicuramente
poco preoccupati di perdere questa tipologia di clientela.
E’ importante sottolineare che, per quanto
sia benvenuta la possibilità offerta da una modalità online di costituzione
della società, ciò non deve ingenerare l’idea che la burocrazia venga
completamente bypassata: il modello tipizzato consente unicamente di saltare la
porta del notaio, e il relativo costo (che può arrivare a 2000 euro), ma non
sottrae ad altri adempimenti richiesti dal caso come la registrazione fiscale
dei documenti (che può avvenire anch’essa online), l’apertura di conti
correnti, registrazioni di contratti di lavoro, ecc.
E’ altrettanto importante dire che nella
procedura Online manca completamente quel genere di controlli che il notaio è
tenuto a fare: tipicamente i controlli sulle identità delle persone e quelli
per anti-riciclaggio. I rischi che si corrono in definitiva sono, secondo i notai, i furti d’identità e la
creazione di startup fasulle se non addirittura veicolo di copertura per
traffici illeciti.
4 – Siamo sicuri
di voler fondare la startup in Italia?
Il nostro consiglio è: pensaci bene, ma
in modo costruttivo. Si deve valutare il proprio business, il proprio mercato
di riferimento, la propria organizzazione societaria, il proprio team e le
proprie ambizioni in termini d’investimenti.
L’Italia è un Paese in cui si investe ancora poco in startup rispetto a
Paesi anche confinanti, la burocrazia e la certezza del diritto rendono
difficile la vita di un’impresa e la conquista d’investitori esteri; ma può
essere il posto perfetto per il tipo di business della propria startup o per le
competenze che servono alla propria startup.
5 – Abbiamo tutte le informazioni di base che ci servono? (Legali,
fiscali, brevetti, ecc.)
Quando è il momento migliore per rivolgersi
a uno studio legale? Quando dobbiamo ancora costituire la società o nel momento
in cui arrivano gli investitori? In che modo un avvocato può aiutare la start
up? Si occupa solo di redigere i contratti o ci sono altri aspetti in cui può
essere di supporto? Antonia Verna è un avvocato specializzato in ambito
startup, partner dello Studio internazionale Portolano-Cavallo, che può fornire
diverse indicazioni preziose.Sotto il profilo dei brevetti potrebbe
essere utile sapere che anche in Italia, disponendo della denominata Patent
Box, è ora possibile aderire alla tassazione
agevolata dei redditi derivanti da opere dell’ingegno, brevetti industriali,
marchi e disegni.
6 – Come potremo finanziarci?
Per una startup, operando con ordine e chiarezza,
è abbastanza facile chiedere un finanziamento in Banca grazie al Fondo Centrale di Garanzia. Ma certamente
la Banca non è l’unico e nemmeno il più indicato strumento di finanziamento per
una startup, che è un Impresa ad alto tasso di fallimento e deve pertanto
trovare forme di finanza alternativa.
Vi sono altre fonti:
·
Bootstrapping – E’ l’autofinanziamento, che
può andare avanti anche per molto tempo se la startup riesce a fatturare e
finanziare con la cassa il suo sviluppo; ma è difficile che sia sufficiente e
opportuno anche per fare il balzo dello scaleup.
·
Family, Friends & Fools (3F) – I
primissimi sostenitori della startup, è presumibile che non chiederanno nemmeno
quote della società.
·
Business Angels – E’ una
categoria molto ampia e variegata, che può in alcuni casi avvicinarsi ai “fool”
della precedente categoria e in altri ai cugini del Venture Capital. Sono
spesso figure imprenditoriali o manageriali a cui piace dare un contributo
anche in termini di competenze apportate. I Business
Angel spiegati nei dettagli si trovano qui.
·
Crowdfunding – E’
un’ottima soluzione soprattutto per progetti early stage b2c, perché rappresenta spesso anche un test di
mercato.
·
Venture Capitalist – Il
loro mestiere è fare un buon deal che generi ritorni elevati, naturalmente
chiedono in cambio una bella fetta della società e uno o più posti nel Board.
Di solito servono per la crescita, perchè generalmente investono su startup
anche early stage, ma con business model validato.
·
Premi, grant, finanziamenti
pubblici – Per la loro natura, entità, modalità,
in Italia possono assurgere a integrazione di altre fonti di finanziamento.
Spesso i risultati ai quali portano non valgono gli sforzi necessari a raggiungerli;
nel caso dei Premi, attenzione al fatto che portano spesso anche visibilità
mediatica che può fare bene, ma anche fare male.
·
Incubatori e programmi di
accelerazione – Sono anche queste soluzioni utili in
determinati momenti della startup, ma il loro valore non è essere una
fonte di finanziamento vera e propria (anche perché forniscono molto in
servizi), quanto un supporto per lo sviluppo dell’idea e del business model.
7. Abbiamo un buon co-founder
e un buon Team?
Il timing è tutto per una startup,
abbiamo detto sopra. Ma anche il Team.
E’ dal Team che dipende l’ ”EXECUTION”,
cioè la capacità di realizzare concretamente la missione dell’impresa, e tradurla
in successo. Il Team è un asset della startup, a cui anche gli investitori
danno moltissima importanza.
Il Team è composto prima di tutto dal
Fondatore che probabilmente è anche il Leader, le cui caratteristiche, nella
maggioranza dei casi, hanno contorni e motivazioni originali, distintive, attraenti
perché carismatiche, spesso fuori del comune, che possono essere simpatiche, ma
anche antipatiche e che, comunque,
trovano sempre delle persone che ci vanno dietro.Oltre al Fondatori, al timone della
startup, con l’affermazione crescente dei risultati, nel tempo spesso capita di
vedere un suo Socio
Quando muove i suoi primi passi la
startup è composta generalmente da 2-3 persone, ma già nel corso del primo anno
di vita potrebbe avere la necessità di nuovi collaboratori. Le assunzioni in
nessuna azienda piccola o grande, sono semplici; ma in una startup sono
cruciali, poiché le persone che si cercano oltre ad avere determinate
competenze e attitudini, dovranno in qualche modo “sposare” la causa ed essere
pronte a lavorare con modalità molto differenti da quelle canoniche. Inoltre
dovranno trovare armonia e sinergia con gli altri componenti della squadra.
Sono le prime 5 persone che si troverà a
dover assumere quelle che aiuteranno il Fondatore a fare Team building, ovvero
la base della struttura di funzionamento dell’Impresa.
Un Team ben strutturato e che lavora
bene insieme può portare lontano la startup è capace di tener duro sotto
pressione e non crollare nei momenti di fallimento e smarrimento. Ma un Team
forte, non è frutto del caso, è un obiettivo che si può raggiungere anche
adottando una buona comunicazione e coltivando specifiche
abitudini che valorizzano i super poteri di ogni talento individuale.
Dopo aver esaminato quali sono i primi 7
passi della startup, è possibile affrontare meglio, temi più specifici., ad esempio, approfondendo il mondo del capitale
di rischio che tipicamente sostiene economicamente (e non solo) la startup.
I Business Angels.
Si definisce Business Angel,
tecnicamente investitore informale in capitale di rischio, la persona fisica che
investe nella startup con capitali propri. La sua è spesso una vera e propria
passione motivata dall’aspirazione a sostenere la crescita di giovani imprese,
quindi spesso oltre al capitale porta alla startup un aiuto manageriale, la
propria esperienza, conoscenze, contatti.
Secondo la definizione di Iban – lo
storico network italiano di Business Angel:
In genere
sono ex titolari di impresa, managers in attività o in pensione, che dispongono
di mezzi finanziari (anche limitati), di una buona rete di conoscenze, di una
solida capacità gestionale e di un buon bagaglio di esperienze. Hanno il gusto
di gestire un business, il desiderio di acquisire una partecipazione in aziende
con alto potenziale di sviluppo e l’interesse a monetizzare una significativa
plusvalenza al momento dell’uscita; l’obiettivo dei Business Angels è quello di
contribuire alla riuscita economica di un’azienda ed alla creazione di nuova
occupazione.
Il Business Angel interviene in genere
in fase early stage e può investire da un minimo
di 5-10 mila euro fino anche a 100-200 mila euro, maggiori investimenti si
ottengono attraverso il coinvolgimento di più Angel sullo stesso deal,
operazione definita in syndacation.
Il venture capital
Il Venture
Capital è una forma d’investimento ad alto
rischio che sostiene finanziariamente ‘fast growing company’ ovvero startup. Un
fondo di Venture Capital può essere privato, pubblico o misto.
Le persone che fondano o gestiscono un
fondo Venture Capital sono chiamati Venture Capitalist.
Il Venture Capital quando investe acquisisce
quote della società, richiede generalmente la presenza nel direttivo della
società e, in molti casi, offre anche supporto operativo, mettendo a
disposizione competenze manageriali, tecniche, relazioni.
I tre aspetti che convincono il VC
all’investimento sono: un team solido e molto competente; un mercato di
riferimento molto ampio; un prodotto/servizio che abbia già vantaggio
competitivo.
La normativa italiana di riferimento per la startup (aggiornato 2019)
Le normative di riferimento principali
che riguardano la costituzione e gestione della startup innovativa, elencate
dallo stesso sito dell’Agenzia delle Entrate, sono:
Articoli
25-31 del decreto legge n. 179/2012 – pdf – Ulteriori misure urgenti per
la crescita del Paese
Decreto
interministeriale del 30/01/2014 – pdf –
Modalità di attuazione dell’articolo 29, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.
179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in
materia di incentivi fiscali all’investimento in start-up innovative
Articolo 1,
comma 218 della legge n. 145 del 2018 – pdf – Legge di bilancio 2019
Altri riferimenti (aggiornamenti e
integrazioni alle norme suddette):
– variazioni apportate da DL 28 giugno
2013, n. 76, convertito dalla Legge 9 agosto del 2013, n. 99;
– disposizioni di cui all’art. 11 bis
del DL 31 maggio 2014 n. 83, convertito dalla legge n. 106 del 29 luglio 2014;
– indicazioni interpretative introdotte
dalle circolari 16/E dell’11 giugno 2014 dell’Agenzia delle Entrate e 3672/C
del 29 agosto 2014 del Ministero dello Sviluppo economico;
– variazioni apportate dal DL 24 gennaio
2015, n.3, convertito dalla Legge n.33 del 24 marzo 2015;
– variazioni apportate dal DL 14 dicembre 2018, n.135 (decreto
semplificazioni), convertito dalla Legge n.12 del 11 febbraio
2019
Le novità
introdotte nel 2019 con la Legge di Bilancio, in
particolare, hanno riguardato non tanto la startup direttamente, quanto misure
che influiscono sugli investimenti in startup e pertanto ne supportano la
nascita.
·
L’incentivo fiscale per gli
investitori passa al 40% (prima era il 19%)
·
Nasce ufficialmente l’asset
class “Venture Capital”, il che significa che i
gestori dei grandi fondi potranno allocare risorse anche in questo ambito
·
Invitalia Ventures passa sotto
il controllo di CDP e gestirà il Fondo di
Fondi nazionale. Inoltre lo
Stato si impegna a veicolare ogni anno il 15% dei dividendi delle partecipate
statali in Venture Capital. Quindi tra
soldi di Stato, soldi di CDP, soldi in arrivo grazie al punto precedente,
supereranno facilmente il miliardo di euro,
e soprattutto con ricorsività. Soldi che verranno a loro volta parcellizzati in
decine di fondi privati di Venture
Capital, affiancandoli ad altra
raccolta, quindi avendo un positivo effetto moltiplicatore sul settore.
·
I PIR, i Piani Individuali di
Risparmio, strumenti di incentivazione che
mettono una parte della raccolta in economia reale e che lo scorso anno si sono
riversati quasi solo in Borsa, dovranno girare un 5% di questa raccolta in Seed
e Venture Capital. Si aggiunge alla liquidità del sistema un importo stimabile
in 500 Milioni di Euro.
·
Nasce ufficialmente la categoria dei Business
Angel, con un registro tenuto
da Banca d’Italia.
·
Vengono semplificate le
comunicazioni annuali per le startup, che d’ora in poi invece che verso la
Camera di Commercio di appartenenza si dovranno fare sul portale del MiSE.
·
Exit: l’acquisizione
da parte di una società di una startup potrà godere dell’incentivo fiscale del
50% dell’importo dell’acquisizione, cosa che spingerà finalmente ad aggregare e
crescere un po’ di nuove aziende italiane che da medie potrebbero diventare
grandi e molto grandi, nel frattempo facilitando il ritorno degli investimenti
a chi ha finanziato le startup.
Anche dal lato startup, pmi innovative e
srls, la legge 12/2019, di conversione del decreto
Semplificazioni (D.L. n. 135/2018), ha introdotto
novità.
E’ stata previsto che le start up e PMI
innovative (e gli incubatori certificati) debbano utilizzare come unico sistema
la piattaforma informatica startup.registroimprese.it. per
assolvere agli obblighi informativi, cioè per dare tutte le informazioni che sono tenute a fornire in sede di
presentazione della domanda d’iscrizione alla sezione speciale del Registro
delle imprese.
Design Thinking: quali sono i diversi approcci e quali benefici producono?
Il Design thinking è l’insieme
dei processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di Prodotti,
edifici e macchinari è sviluppata da team di Design creato. Negli ultimi anni
il concetto di Design Thinking si è spostato verso l’innovazione di Prodotti e
Servizi. In quest’ottica il Design Thinking si configura come modello
progettuale volto alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e
gestione creative. Tale approccio è
stato codificato attorno agli anni 2000 in California
dall’Università di Stanford ed è centrato
sulle persone e si basa sull’abilità di integrare capacità analitiche con
attitudini creative. Uscito dagli Studi di Design, sta permeando vari settori:
in particolar modo la consulenza direzionale, la trasformazione digitale e la
progettazione di software e interfacce.
Dopo il Total Quality Management
degli anni ’80, il Design Thinking ha oggi il potere di attivare le energie
creative delle persone coinvolte e migliorare radicalmente i processi
aziendali. Con una spinta sottile, ma irreversibile, il
Design Thinking riesce a scardinare pregiudizi (ad esempio, il nostro
radicarci in uno status quo) e norme comportamentali (ad
esempio, “Qui le cose le facciamo così”) che bloccano l’esercizio
di immaginare soluzioni diverse.
Pregiudizi e norme comportamentali sono, per Liedtka,
i principali nemici e una delle principali cause di fallimento per tante
aziende che hanno provato a innovare senza adottare un processo adeguato
all’obiettivo.
Per avere successo, un processo di
innovazione ha bisogno di tre elementi: soluzioni di qualità, bassi rischi e
costi, partecipazione dei dipendenti.
Ciascuno
di essi ha vantaggi e svantaggi: sono le sfide
dell’innovazione.
Soluzioni di qualità
Definire i problemi in contesti
convenzionali porta a soluzioni ovvie. Una domanda più interessante spinge il Team
a trovare risposte più originali. Le soluzioni che coinvolgono le persone e
portano voci nuove nella discussione aiutano a trovare risposte inaspettate.
Bassi rischi e costi
Fare cose nuove significa fare
cose che non conosciamo e non sappiamo che effetto avranno su di noi e sul
mondo che ci circonda.
Avere più opzioni aiuta a
scegliere rischi e costi più bassi, ma solo se la selezione scarta le idee
peggiori. Come avviene spesso, le idee che consideriamo peggiori sono
quelle insolite, e spesso anche quelle più creative.
Partecipazione dei dipendenti
Nessuna azienda o società civile
può innovare se i suoi dipendenti (o cittadini) non partecipano.
Le soluzioni calate dall’alto
creano risposte di comodo: senza partecipazione, l’innovazione non esiste. Le
soluzioni troppo partecipative, d’altronde, generano caos.
Senza una tecnologia sociale che
gestisca i diversi touchpoint e aiuti le persone a superare
gli ostacoli comportamentali, la strada è senza uscita.
Un percorso ben segnato.
Il Design Thinking propone un set
di strumenti che aiutano a delimitare il percorso senza annullare il contributo
individuale di chi partecipa.
È un processo organizzato che
evita che i partecipanti (che Lietdka chiama “innovatori”) perdano
troppo tempo su un problema o che lo saltino per impazienza.
Le persone sono guidate dalla
paura di sbagliare e cercano di evitare che avvenga, a discapito delle
opportunità: scelgono di non fare per evitare i rischi. Senza azione non c’è
innovazione, e allora la sicurezza psicologica è essenziale.
Gli strumenti ben delimitati del
Design Thinking offrono quel senso di sicurezza che serve alle persone per
generare e testare nuove idee. Alcune sue metodologie nascono infatti
dall’etnografia e dalla sociologia, ed esaminano cosa rende
significativa una customer journey più che
raccogliere semplici dati. Una volta compresi i bisogni delle persone, gli innovatori
potranno identificare soluzioni specifiche.
Il momento fondamentale è
l’organizzazione degli incontri con i partecipanti e il dialogo sulle possibili
soluzioni.
Nel Design Thinking la fase di
prototipazione è un’esperienza continua: i cambiamenti radicali accadono
durante il percorso, e riducono la normale paura delle persone
sottoposte.
I processi di Design-Thinking,
insomma, attaccano i pregiudizi delle persone mentre affrontano le sfide
tipiche di chi cerca soluzioni superiori, costi e rischi bassi e partecipazione
dei dipendenti.
Forma le esperienze in un
percorso strutturato, che spaventa meno e coinvolge negli obiettivi e nella
creazione di un risultato condiviso.
È una vera tecnologia sociale al lavoro, una delle
poche davvero efficaci nel progettare un futuro sostenibile.
I
Principi del Design Thinking
Creatività
il Design Thinking è un approccio
che fa leva sulla capacità delle persone coinvolte nell’essere creative. È
infatti caratterizzato da strumenti e metodologie che supportano la generazione
delle idee come l’How Might We.
Prototipazione
La prototipazione
velocizza i processi di Design Thinking perché consente di comprendere in
maniera rapida punti di forza e debolezza delle nuove soluzioni da
implementare. Questo principio è strettamente correlato a quello di user
contribution: nel Design Thinking non ci si limita a definire i passi per
immaginare un’idea o una soluzione, ma si arriva alla concreta realizzazione di
tale idea mediante il confezionamento di un prototipo. Tali prototipi possono
concretizzarsi in roadmap di sviluppo o addirittura in veri e propri modelli
funzionanti.
User Contribution
Il Design Thinking nasce dalla
volontà di guardare ai bisogni dei utenti e aiutarli a risolverli. Per questo è
fondamentale il ruolo che l’utente finale ricopre nel processo di innovazione.
Per assolvere a tale principio, nel Design Thinking si fa largo uso di ricerche etnografiche e A/B Test.
Durata del processo
I progetti di Design Thinking
hanno una durata che può variare nell’ordine di ore, giorni, mesi e anni, a
differenza di altri approcci basati sul design, come il Design Sprint
utilizzato da Google, che hanno una durata definita. Questo perché il processo
di Design Thinking predilige fasi e dinamiche divergenti, in cui si generano
innumerevoli nuove idee attraverso lunghi momenti di brainstorming.
Principali ambiti di utilizzo del Design Thinking:
- Progettazione e
lancio di startup
- Progettazione,
realizzazione e distribuzione di prodotti e servizi innovativi
- Formazione[9]
- Consulenza str
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