Gig economy, quando non ti è garantito nessun diritto (minimo) per il tuo futuro e il capo è un algoritmo.
Con la “crisi” (forse cambiamento?) del lavoro e grazie alle
opportunità offerte al web e dalle sue applicazioni è nata una nuova economia,
la gig economy. Si Tratta di un particolare “sistema” che riesce a fare a meno
dei classici contratti a tempo indeterminato o alle prestazioni continuative,
un sistema di lavoro freelancizzato, facilitato dalla tecnologia che a che fare
con esigenze generazionali e sociali. È una forma efficiente d’impresa
capitalistica. Su lavori che scontano flessibilità e intermittenza”.
Nella gig economy si lavora on demand. Ovvero solo quando
c’è la necessità delle nostre competenze e delle nostre abilità. Foodora
consegna dei pasti a domicilio, Uber un servizio di taxi e sono un chiaro
esempio di figure professionali all’interno della gig economy.
Se vogliamo renderla ancora più semplice, è il trionfo dei
“lavoretti”. Fino a poco tempo fa una situazione lavorativa del genere non
sarebbe stata considerata una buona opzione economica, e invece vista la crisi
del lavoro al momento molte persone stanno accettando le opportunità
occupazionali, anche se molto saltuarie, offerte da siti, applicazioni e
piattaforme web.
Etimologia della gig economy.
Come già spiegato, nasce grazie alla creazione di
applicazioni e siti che offrono dei piccoli lavoretti on demand. Proprio per
questo motivo alle volte è anche chiamata economia delle piattaforme. Nasce
all’interno dello stesso contesto dell’economia collaborativa e della sharing
economy ma è completamente diversa infatti non c’è condivisione, e c’è una
bella differenza tra andare a chiedere in prestito al vicino di casa il trapano
e chiedergli di fare il lavoro anche in cambio di una mancetta. Nel caso di
sharing economy si condivide, mentre nella gig economy si viene pagati per un
servizio che è stato fatto ( consegna di un pasto) con mezzi propri, si è
inquadrati in una collaborazione organizzata dal committente, per esempio nella
gestione dei turni, si deve indossare un’uniforme di rappresentanza, ma ci si
deve sobbarcare dei costi degli strumenti di lavoro, come smartphone e
bicicletta.
Tutela dei lavoratori.
Il vero problema
della gig economy sono le tutele nei confronti dei lavoratori. Non essendoci
dei veri e propri contratti difficilmente le persone ricevono lo status di
dipendenti con le conseguenti agevolazioni, pensionistiche e sanitarie, del
caso. Se la gig economy dovesse crescere ancora, e gli analisti del mercato
sono molto propensi a quest’eventualità, sarà fondamentale per le persone
chiedere e ottenere dai governi nazionali delle nuove regolamentazioni. Nuove
leggi che permettano una maggiore tutela a chi lavora on demand. In Italia è
stato fatto il primo passo riconoscendo e facilitando il telelavoro, ma sarà
necessario fare ancora molti passi in avanti.
Un algoritmo come capo.
L’algoritmo che gestisce l’attribuzione del lavoretto non
essedo altro che una semplice procedura che tenta di risolvere un determinato
problema applicando un certo numero di passi elementari manca di umanità e
quindi taglierà o eliminerà l’attribuzione delle consegne agli operatori che
non riterrà idonei indipendentemente dalle variabili umane e di buon senso.
I dubbi.
I mestieri della gig economy e la loro contrattualizzazione
sono finiti sotto i fari dei giuslavoristi. “Ci sono indizi di subordinazione,
come il fatto di avere dei turni o il potere disciplinare della piattaforma,
che arriva all’estromissione. Una zona grigia tra il lavoro da freelance e
quello da dipendente. Negli Stati Uniti Uber non ha fatto notizia per le
proteste dei concorrenti diretti, i taxisti, quanto per i numerosi processi
incardinati con l’obiettivo di far luce sulle condizioni di lavoro degli
autisti: sono autonomi o no? Inizia a masticare parole come gig economy o
sharing economy anche una rappresentazione del lavoro vecchia maniera come il
sindacato.
Il futuro della gig economy.
Secondo molti analisti di mercato il futuro della gig
economy dipenderà dalla capacità dei politici di adeguare le leggi a queste
nuove forme di lavoro. In maniera tale da tutelare sia i dipendenti che le
aziende. Il politico britannico Matthew Taylor ha proposto una soluzione per
questo problema. Si tratta della creazione di una specifica categoria di
lavoratori, una sorta di freelance che va a posizionarsi tra le aziende e i
lavoratori con contratto fisso. Nonostante questa posizione lavorativa
abbastanza incerta, la nuova categoria dovrà rientrare nei benefici che hanno
le persone con regolare contratto. Come la malattia, gli extra pagati, e in
alcuni casi i giorni festivi retribuiti.
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